sabato 27 febbraio 2010

Ritratti di signore: Elsa Martinelli

Elsa Martinelli nel film "La risaia" (1956)

La risaia di Raffaello Matarazzo (1956) Sceneggiatura di Aldo De Benedetti, Ennio De Concini, Carlo Musso Con Elsa Martinelli (Elena), Folco Lulli (Pietro), Michel Auclair (Mario), Rik Battaglia (Gianni), Vivi Gioi (la madre di Elena), Lilla Brignone (la moglie di Pietro), Gianni Santuccio (l'avvocato), Susanne Lévesy, Liliana Gerace, Edith Jost, Bianca Maria Fabbri, Emilia Ristori Musica: Angelo Francesco Lavagnino, Fotografia: Luciano Trasatti (90 minuti) Rating IMDb: 5.9

Solimano

Avvertenza preliminare. E' sempre bene ampliare le immagini, per questo film è quasi essenziale, se si vogliono cogliere aspetti di personaggi, di gruppi, di lavori e paesaggi che altrimenti potrebbero sfuggire. Il film va guardato come se fosse un coinvolgente fotoromanzo, un meraviglioso fumetto.
Nel 1949 Giuseppe De Santis aveva girato "Riso amaro" nella Tenuta Veneria in provincia di Vercelli. Sette anni dopo, nel 1956, Raffaello Matarazzo, che ormai si avvia alla fine della sua carriera, gira "La risaia" nella Cascina Graziosa, fra Casalino e Cameriano, in provincia di Novara. Oggi il film di De Santis è universalmente noto, quello di Matarazzo pressoché ignorato. A questo film dedicherò alcuni post, perché lo merita per diversi motivi.
E' meglio guardare il film a sé stante, come se non ci fosse stato "Riso amaro". E' tutt'altro che un remake, per utilizzare la terminologia oggi abituale. "La risaia" non ottenne un successo paragonabile a quello di alcuni precedenti film di Matarazzo (Catene, Tormento, I figli di nessuno, Chi è senza peccato), ma ebbe comunque un buon pubblico. Un film a suo modo grandioso come paesaggi, come risonanti - quasi epiche - musiche di Lavagnino, come modalità di riprese tecniche, come masse (oltre cinquecento mondine!).
Ed Elsa Martinelli? Anche qui, il confronto con Silvana Mangano serve a poco e le caratteristiche del personaggio sono diverse: l'aspetto fisico aiuta, sia la Mangano che la Martinelli sembrano costruite apposta per i loro due personaggi. Sarebbe impensabile che se li scambiassero, ed è una lode per i registi e per le interpreti.

Le mondine arrivano. Hanno davanti quaranta giorni di duro lavoro. Scendono dal carro che le ha trasportate e fra di loro c'è Elena Forti (Elsa Martinelli), che ha un aspetto diverso dalle altre. Si scoprirà durante il film che ha studiato, prendendo il diploma di maestra. Prima di cominciare a lavorare c'è un controllo anagrafico. Le mondine si dispongono in fila e quando passano accanto al tavolo dicono il proprio nome e cognome ad alta voce e l'addetto fa la spunta sulla lista. Vicino all'addetto c'è il padrone della cascina, Pietro (Folco Lulli) che rimane impressionato nel sentire il nome e il cognome della ragazza, che sul momento non ci bada. Ma vedrà in seguito che Pietro è molto interessato a lei.

Comincia il lavoro. Si fatica, si canta, si ride e si litiga. Da una frasetta di Elena nasce una rissa fra mondine a cui Elena non partecipa. Sedata la rissa, tutte di fronte a Pietro, che è un padrone duro e deciso. Quando si accorge che c'è ancora acredine fra i due gruppi di mondine, chiede chi ha dato l'innesco, ed Elena si accusa come colpevole, disposta ad andarsene.

Ma accade una cosa inaspettata. Mentre Elena sta uscendo per andare a prendere la sua roba e partire, Pietro dice che per questa volta ci si può passare sopra, quindi Elena può restare. Succesivamente, Pietro continua a parlare con Elena, cercando di sapere da dove viene e com'è la sua vita. Tutti lo notano, e pensano che ci sia dell'attrazione fisica. Invece Elena capisce che c'è dell'altro, non è quello il punto, ma è disturbata dalle domande che le fa Pietro. Elena non parla volentieri di sé.

Arriva alla cascina Mario (Michel Auclair), che è il nipote della moglie di Pietro (Lilla Brignone). Litiga con Pietro, che l'accusa di aver falsificato la sua firma su una cambiale. Viene a sapere dello strano comportamento di Pietro con Elena e naturalmente lo interpreta a suo modo, come una tentata seduzione. Si offre di dare un passaggio per Novara sulla sua macchina rossa a tre mondine. Una trappola per estendere l'invito anche ad Elena che non può sottrarsi e che è interessata ad andare a Novara per ragioni sue. Mario scarica le tre mondine con una scusa, quindi Elena è sola con lui che la aggredisce. Elena, con una spallina strappata riesce a scendere dalla macchina.

Sta passando un automezzo da lavoro. Alla guida c'è Gianni (Rick Battaglia), un meccanico auto che ha visto la scena e l'ha male interpretata. Pensa che sia stato Mario a far scendere Elena dall'auto rossa per scaricarla. Mario dà un passaggio ad Elena, ma fa capire quello che pensa. Elena scoppia a piangere (ma intanto si è sistemata la spallina). Gianni ed Elena si salutano, entrambi speranzosi di rivedersi.

Però Mario - il nipote perverso - non molla. Durante una festa locale occhieggia dietro il gruppo delle mondine al tiro a segno, poi, mentre le mondine ballano fra di loro, si fa sotto di nuovo con Elena, che sarebbe in difficoltà se non intervenisse Gianni, che arriva in quel momento ed affronta risolutamente Mario.

Gianni ed Elena escono insieme. Prima prendono un gelato, poi lui le mostra l'officina meccanica di cui è molto fiero. Ha un socio , ma pensa di farcela ad andare avanti da solo, fra un po' di tempo.

Pietro fa un viaggio a Milano. Cerca una donna con cui era stato vent'anni prima e che aveva lo stesso cognome di Elena. Finalmente la trova: è la madre di Elena (Vivi Gioi) e Pietro viene a sapere che il padre è lui. Elena racconta i suoi anni di sofferenza, i mestieri duri (anche adesso fa la serva), però è riuscita ad allevare la figlia e a farla studiare. Non vuole che Pietro si intrometta, dopo essere stato assente per vent'anni.
Nel dormitorio delle mondine scoppia un incendio. Pietro riesce a salvare Elena, a costo di ferirsi. La ragazza lo sa, capisce che le è veramente affezionato, ma continua a non capire il motivo.

Gianni ed Elena sono felici, perché reciprocamente innamorati . Pietro ha capito la situazione fra i due e vuole aiutarli a farsi una vita insieme. Cerca nascostamente di aiutare Gianni, facendogli ottenere una concessione da una ditta nel ramo petroli. Gianni - che non è stupido - scopre chi c'è dietro quella offerta generosa, ma capisce a rovescio e litiga con la sua ragazza. Elena non sa che dire: ha capito che Pietro non le sta dietro per ragioni sessuali, che le vuole veramente bene, le ha persino salvato la vita. Ma a questo punto, non può fare altro che dire risentita a Pietro di non intromettersi nella sua vita, di lasciarla stare.

I quaranta giorni di lavoro sono passati, c'è la festa finale. Elena è disperata, perché Gianni non l'ha più cercata. Le compagne la fanno bere, forse un po' troppo, ed Elena si mette a ballare da sola in mezzo alla pista. Tuti la guardano ammirati. Ma a un certo punto, Elena non ce la fa più, abbandona la pista e si mette a piangere da sola. Poi va nel dormitorio, sempre da sola.

Alla festa era presente anche Mario, che segue Elena, ed entra nel dormitorio per violentarla. Intanto è è successa una cosa che poteva risolvere la situazione: Pietro ha parlato con Gianni e gli ha detto la verità, cioè che lui è il padre di Elena. Gianni si precipita alla festa, arriva tardi, sente una voce di donna che grida "Aiuto!", capisce cosa sta succedendo ed affronta Mario nel dormitorio (giungendo appena in tempo prima dello stupro). I due uomini si battono sotto lo sguardo atterrito di Elena e Mario muore accidentalmente andando a finire contro un grande rastrello con le punte acuminate. Che fare adesso? Compare Pietro, che ha deciso il da farsi: si autodenuncerà di aver ucciso Mario e andrà in prigione. Il suo modo di pagare il ventennale debito verso la figlia.
Le mondine partono sul carro, a fianco del carro camminano Elena e Gianni. Passa la camionetta dei carabinieri con Pietro, che è stato appena arrestato. Guarda sua figlia Elena e sua figlia guarda lui. Poi continuerà a camminare con Gianni.


Elsa Martinelli (il nome vero è Elsa Tia) nasce a Grosseto il 30 gennaio 1935.
Nel 1953 a Roma, quando fa la commessa in un bar, viene scoperta dallo stilista Roberto Capucci e diventa rapidamente una indossatrice e modella internazionalmente famosa.
Nel cinema, quasi subito una piccola parte in un film importante, "Le rouge et le noir" (1954) di Claude Autant-Lara, poi il successo hollywoodiano in un film con Kirk Douglaa: "The Indian Fighter" (1955). Quindi, quando Raffaello Matarazzo le affida la parte di Elena ne "La risaia" (1956), Elsa Martinelli è giovanissima, ma non esordiente. Ha recitato in 61 film, ma gran parte di essi sono compresi fra il 1953 e il 1971. Dopo ha molto diradato le sue apparizioni, dedicandosi più alla TV che al cinema.

Tre fotografie di studio di Elsa Martinelli

Inserisco parte di una intervista che le fece Laura Laurenzi il 26 aprile 2006 per la Repubblica:

...
Seduta nel salotto di casa a un passo da Piazza del Popolo, in tuta grigia e rosa, rosa anche le scarpe da ginnastica, Elsa Martinelli appare più in forma che mai. Fa il punto, racconta, ricorda. Parla dei tempi d'oro di cui è stata testimone ironica, le tre copertine su "Life", le estati a Saint Tropez con Brigitte Bardot, le notti ruggenti a El Morocco di New York, e il discorso scivola inevitabilmente sull'io lo conoscevo bene. Nureyev e Truman Capote, Tennesse Williams e Salvador Dalì. E poi Marilyn, Ava Gardner, Grace Kelly che "ha avuto tantissimi amanti".

Le piace l'etichetta di diva controvoglia?
"Perfetta. Non me la sono mai tirata. Se ti crei attorno il mistero della diva, l'atmosfera dell'intoccabile, appena possono ti zompano addosso e ti massacrano. A me invece piace fare una vita normale, andare al cinema, andare al mercato a fare la spesa, cucinare".

In "Orgoglio" è una perfida duchessa. Perché queste parti da cattiva?
"Era 13 anni che non facevo una fiction. Ho accettato solo perché è una grande produzione: in genere le cose televisive fanno schifo e le attrici sono tutte intercambiabili, tutte rifatte. La parte da cattiva me l'hanno offerta perché ho il fisico del ruolo. Alta un metro e 76, altera, con i vestiti che mi stanno a pennello, cosa potevo fare, la suora? la nonnina con l'uncinetto in mano?".

Ma è vero che lei disse di no a Lelouch che la voleva in "Un uomo una donna" giudicando la storia troppo melensa?
"Perché, non è una storia melensa? Se gli levi la musica a quel film che gli resta? Mi venne a cercare questo regista semisconosciuto con la fronte bassa, piena di ricci, arcigno. Non aveva un copione scritto, una traccia, niente. Mi raccontò di questi due vedovi, o separati, che si incontrano a Deauville. No grazie! Perché non prende Anouk Aimée? gli dissi. Poi Anouk non ha più fatto molto...".

Un altro dei suoi no fu per Bettino Craxi, vero?
"Sì, quando era presidente del consiglio mi chiese di occuparmi del suo look. Premetto che sono molto amica della moglie Anna, che stimo tantissimo. Lui mi disse: Elsa, sei una donna internazionale, perché non mi aiuti? Ho rifiutato. Poteva chiederlo alla moglie, o a una professionista. Per me era imbarazzante l'idea di consigliargli il tipo di pantaloni giusti o ritrovarmelo in vestaglia".

Parliamo degli uomini famosi che ha avvicinato durante i suoi anni hollywoodiani. Gary Cooper.
"Ha bevuto champagne da una mia scarpa di raso per darmi il benvenuto. Ma davanti alla moglie. Io sono subito diventata amica di tutte le mogli, perché ho capito che potevano essere molto gelose".

Kirk Douglas.
"Il più sexy, il più pieno di charme. Molto più del figlio".

Humphrey Bogart.
"Non mi è mai piaciuto. Lo trovavo bruttino. Brutto il colore, così olivastro. E poi non parlava: biascicava".

Orson Welles.
"Grandioso senso dell'umorismo. Non si prendeva mai sul serio".

John Wayne.
"L'opposto che sullo schermo, il contrario del cowboy. Uno degli uomini più raffinati che abbia conosciuto, con una delle case più eleganti e più sobrie che abbia mai visto in vita mia".

E John Kennedy?
"L'ho conosciuto a Los Angeles a casa di amici, quando era già presidente. Ecco, con noi non si è mai comportato da presidente, ma sempre con semplicità, naturalezza, classe, da ragazzo nato ricco che si circonda di amici divertenti. Jacqueline è stata una first lady bravissima: credo fosse la donna più tradita d'America".

Inserisco immagini di undici film di Elsa Martinelli in ordine cronologico:

"The Indian Fighter" (1955) di André De Toth

"Captain Blood" (1960) di André Hunebelle

"La menace" (1961) di Gérard Oury

"Hatari!" (1962) di Howard Hawks

"The Pigeon That Took Rome" (1962) di Melvil Shavelson

"Rampage" (1963) di Phil Karlson

"La fabuleuse aventure de Marco Polo" (1965)
di Denys de La Patellière

"La decima vittima" (1965) di Elio Petri

"Le plus vieux métoer du monde" (1967) di Mauro Bolognini

"Candy" (1968) di Christian Marquand

"Les chemins de Katmandou" (1969) di André Cayatte

lunedì 22 febbraio 2010

Ancora Marcel Proust

Tullio Pericoli: Marcel Proust

Solimano

I dati informativi sul testo a cui faccio riferimento sono questi:

Marcel Proust Alla ricerca del tempo perduto La strada di Swann Prima parte: Combray
Adattamento e disegni di Stéphane Heuet Colore Véronique Doray Grifo Edizioni 2002 - 80028 Grumo Nevano - Na.

Inserisco ancora due disegni di Stéphane Heuet con i brani di Marcel Proust che trovo più corrispondenti. Utilizzo la traduzione di Natalia Ginzburg Editore Einaudi, 1963. Consiglio di ampliare le immagini per leggere meglio il testo (lettering) delle tavole di Heuet.

Come l'amavo, come l'ho ancora davanti, la nostra chiesa! Il vecchio portico per il quale si entrava, nero, bucherellato come una schiumarola, era deviato e profondamente incavato agli angoli (non meno dell'acquasantiera a cui ci conduceva) come se la tenue carezza dei cappotti delle contadine che entravano in chiesa e delle loro dita timide che prendevano l'acqua santa, ripetuto per secoli, avesse potuto acquistare una forza distruttiva, inflettere la pietra ed intaccarla di solchi, simili ai solchi che vien formando la ruota dei carretti sui paracarri urtandovi ogni giorno.

Nonostante tutta l'ammirazione professata da Swann per quelle figure di Giotto, per molto tempo non provai alcun piacere a guardare, nella nostra sala di studio, dov'erano appese le copie che egli mi aveva portato, quella Carità senza carità, quell'Invidia che pareva una tavola d'un libro di medicina illustrante soltanto la compressione della glottide o dell'ugola per un tumore della lingua o per l'introduzione dello strumento chirurgico, una Giustizia il cui viso grigio o meschinamente regolare era quello stesso che, a Combray, caratterizzava certe graziose borghesi secche e devote che vedevo alla messa, delle quali parecchie erano in precedenza arruolate nelle milizie di riserva dell'Ingiustizia.

Giotto: L'Invidia Cappella degli Scrovegni, Padova

Giotto: La Giustizia Cappella degli Scrovegni, Padova

All'inizio del libro c'è un breve saggio di Giusepppe Scaraffia, che uscì come articolo su "Il sole 24 ore" (14 luglio 2002). Ho ritenuto di inserirlo qui, perché permette di ampliare il discorso al di là dei fumetti di Heuet. Ci sono dei nessi interessanti fra le illustrazioni dedicate alla Recherche (di cui fanno parte i fumetti di Heuet), le pitture a cui fa riferimento la Recherche, il cinema. Quindi, già in questo post, inserisco come apertura e come chiusura del post le immagini di due opere di Tullio Pericoli, e, a fianco dell'articolo di Scaraffia, immagini di tre illustratori di Proust. Dall'alto in basso: Kees Van Dongen (1947), Hermine David (1951) e Philippe Jullian (1968).

Così Marcel scrivendo disegnava
di Giuseppe Scaraffia

"Non so assolutamente disegnare", protestò Proust, all'apice della sua fama, quando un giornale scrisse che aveva decorato un teatro a Montmartre.
Eppure i disegni che talora decorano le sue lettere sono dei veri e propri fumetti, graficamente ben più moderni di quelli del suo esegeta Heuet. Anche le spiegazioni che le accompagnano sono scritte secondo le regole dei fumetti.
Certo non era solo una abitudine di Proust. Prima di lui molti altri, da Balzac a Baudelaire, avevano ricamato di disegni scritti e lettere, evidenziando la continuità tra il disegno e la parola.
Già il primo libro di Proust, I piaceri e i giorni era stato illustrato. L'autrice era una signora dell'alta borghesia parigina, Madeleine Lemaire, uno dei modelli di Madame Verdurin. In una delle illustrazioni - Una cena in società - appariva addirittura il giovane autore in abito da sera intento ad osservare il modello del barone de Charlus, il dandy Robert de Montesquieu.

In quegli stessi anni Proust era intervenuto direttamente su una tela dipinta da un amico, Jacques-Emile Blanche, censurandone la metà. Era il suo ritratto, l'immagine di un giovanotto in smoking con un'orchidea all'ochiello.
Proust ne era rimasto irritato, forse già intuendo il carattere effimero della sua presenza nella mondanità e aveva imposto a Blanche di eliminare la parte inferiore del dipinto. Quello che ne rimase, Proust, se lo portò sempre dietro nei successivi traslochi: uno dei tanti talismani, porte segrete sempre schiuse sul passato, sul tempo perduto.
La prima a misurarsi con il delicato compito di illustrare la Ricerca fu nel 1930 la bella Hermine David. Nelle sue acqueforti i corpi dei personaggi sono aristocraticamente slanciati.

Nel 1947 Van Dongen non esitò, nei settantasette acquerelli, a bagnare delle tinte più vivaci le sfumature interiori di Proust. Un anno dopo Jean-Emile Laboureur ricalcò, con la puntigliosa tristezza di uno scolaro, la malinconia aleggiante in All'ombra delle fanciulle in fiore. Più irriverente, Nils Moller faceva emergere la fallacità implicita nelle orchidee di Sodoma e Gomorra.
Nel 1968, Philippe Jullian, delizioso scrittore e artista, tradusse in scintillante ironia la sua timidezza davanti al capolavoro di Proust.
Meno importanti quelli che vengono dopo. Michel Viat tenta di ricalcare il gioco di citazioni alla base della Ricerca, senza però riuscire ad emanciparsene.
La memoria si trasforma in ombra nelle nostalgiche immagini di Yan Nascimbene.
In Heuet il passaggio al fumetto, malgrado l'innegabile impoverimento del discorso proustiano, è importante in quanto elimina la patina sacrale che si è formata nell'ultimo mezzo secolo intorno a Proust.

Un'aura che, fingendo di tutelarne l'opera dagli assalti della modernità, tende ad imbalsamarla e a isolarla dal presente. Le scene della lanterna magica che affascinavano il Narratore infatti sono innegabilmente le antenate delle tavole dei fumetti.
A colori vivaci come, dalle vetrate variopinte delle cattedrali gotiche alle ingenue stampe di Epinal, il caleidoscopio della memoria.


Tullio Pericoli: Marcel Proust